Michele Ciliberto, Umanesimo e Rinascimento a Sophia

Non solo arti e lettere. Guardare al Quattrocento e al Cinquecento significa anche passare attraverso il pensiero dei filosofi

MICHELE CILIBERTO

C’è chi afferma che il paradigma dei due secoli, che in Italia vengono fatti coincidere con i termini ottocenteschi di Umanesimo e Rinascimento, il Quattrocento e il Cinquencento, sia un paradigma che debba essere oggi irrimediabilmente recuperato, per fare addirittura da schermo a certe derive troppo contemporanee. Insomma, per farla breve, rileggere il Rinascimento avrebbe oggi lo stesso valore che ha avuto ai tempi già di Petrarca, e poi di Pico, di Machiavelli e di Bruno: quello di fare luce su (allora presunti) secoli bui, con lo scopo di riposizionare l’uomo come centro nevralgico del cosmo e, con esso, i grandi maestri del passato. Se la cultura più diffusa, quando ci si approccia a secoli tanto difficili da leggere quanto imprescindibili, legge i termini di Umanesimo e Rinascimento accostandoli ai grandi nomi della storia dell’arte, da Piero della Francesca a Michelangelo, o a quello dei grandi uomini di lettere, troppo poco si nominano i filosofi. Già a scuola, studiare Pico, studiare Machiavelli, studiare Alberti, studiare Bruno come autentici pensatori, viene spesso evitato, un po’ perché leggere la Cabala del cavallo pegaseo risulta più indigesto che affrontare le Meditazioni metafisiche di Cartesio, un po’ per pregiudizio. E questo è, davvero, uno dei grandi colpi alla nostra cultura, non solo filosofica. Rimediamo con uno degli incontri di questa quarta edizione di Sophia grazie a Michele Ciliberto, la voce italiana più autorevole e influente per quanto riguarda, tra gli altri, l’autore de Il principe e il celebre filosofo passato tristemente alla storia per essere stato arso vivo a Campo de’ Fiori.

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