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Schelling, ripartire dalla natura

A duecentoventi anni dalla pubblicazione di quello che è forse il suo capolavoro, Sistema dell’idealismo trascendentale, quale è l’attualità del filosofo di Leonberg, il precocissimo pensatore dell’Assoluto, intimo amico di Hölderlin e di Hegel, che a soli ventiquattro anni sostituì, grazie nientedimeno all’appoggio di Goethe, Fichte come docente a Jena, dove, oltre a nutrirsi delle maggiori istanze idealistiche, frequentò i maggiori esponenti del romanticismo tedesco, da Schlegel a Novalis. I grandi interessi di Schelling furono il problema metafisico-religioso, la libertà, l’arte, la filosofia trascendentale, temi che affrontò con grande maestria e lucidità. Ma è la natura la parola chiave per comprendere l’originalità del pensiero schellingiano.

   Allievo filosofico di Fichte, dopo un iniziale fase di adesione al sistema del maestro, dal 1797 al 1799 dipinge tutta una nuova filosofia. Il principio da cui Fichte era partito era l’infinito, il “passo romantico” che destò la storia del pensiero dall’Illuminismo kantiano. E l’infinito è ciò che spiega a un tempo tanto l’Io quanto il non-Io, tanto lo spirito o, se vogliamo, l’umanità, quanto la natura.

   La domanda rimane la medesima: da dove hanno origine lo spirito e la natura? Non vi è idealismo se non si risponde a questa domanda partendo dall’Io, se non si parte dal soggetto. La natura, le cose, sono l’esito della produzione di quel principio «assolutamente primo, assolutamente incondizionato» che è l’Io, diceva Fichte. L’Io è attività creatrice libera, assoluta, infinita. Non è più solo la condizione della conoscenza delle cose del mondo, come voleva Kant, ma la fonte da cui sgorga il mondo. Il mondo non è che prodotto dell’Io. Non solo: persino l’Io stesso è esito della sua attività creatrice. L’Io puro è creatore e autocreatore. Fichte chiamava questo gesto Tathandlung: l’Io produce il mondo, ma pone anche se stesso. Nel processo di questa produzione, la natura diventa paradossalmente anche l’ “ostacolo” di quella purezza che aveva caratterizzato l’Io. L’Io nel porre ciò che non è Io, ovvero la natura, pone anche il suo altro, ciò che l’allontana da se stesso.

William Turner, Tempesta di neve

   Lo sforzo di Schelling, entusiasta ammiratore di questa potente filosofia che aveva fatto i conti tanto con l’Illuminismo quanto con la modernità, è quello di rovesciare questo gesto filosofico. Ciò che stride nelle orecchie di Schelling è il ruolo minoritario che in Fichte spettava alla natura. Che cos’era la natura nella filosofia di Fichte? Un prodotto. E, al massimo, il gran teatro delle azioni morali dell’uomo. Il prezzo da pagare per porre l’Io come centro propulsore, principio di ogni principio, è un sacrificio della natura. È recuperando l’idea di sostanza propria di Spinoza che Schelling arriva allora a (ri)concepire un principio dell’infinità oggettiva. La natura deve avere vita e valore in se stessa, deve avere una razionalità che la governi dall’interno, che la renda autonoma. E tanto l’infinità soggettiva di Fichte quanto quella oggettiva di Spinoza devono essere riunite in un unico principio: l’Assoluto, ovvero l’unità indifferenziata tanto di soggetto quanto oggetto, tanto di spirito quanto di natura, tanto di ideale quanto di reale. Da qui la necessità di fondare tanto una filosofia della natura quanto una filosofia dello spirito.

   Che sia questa una delle grandi attualità di Schelling? Negli anni in cui si perdono gli ultimi residui di quell’ingenuità, per dirla con Schiller, che aveva segnato la grande epoca dei Greci, in cui uomo e natura convivono senza sforzo, senza contrasto, è necessario ripartire dall’idea di una filosofia della natura?    E che cos’è mai questa natura, con la sua razionalità, la sua autonomia, la sua vita? Essa è un organismo, in cui ogni singola parte ha relazione con il tutto, ma un organismo che non è esito di una «miracolosa collisione di atomi», in cui l’unica legge in grado di spiegare le sue dinamiche è quella di causa ed effetto, bensì un organismo orientato ad un fine interno alla natura stessa. È una natura che non ha bisogno di Dio, un organismo in grado di auto-organizzarsi. Come spirito – inconscio – la natura ha i medesimi caratteri che avevano caratterizzato l’Io di Fichte: Schelling riparte letteralmente dalla natura per costruire la sua filosofia. Attività spontanea, creatrice, destinata da un fine interno a auto-organizzarsi in tutte le infinite molteplicità e metamorfosi che la caratterizzano, secondo le sue forze e le sue opposizioni, secondo le leggi della chimica e della fisica, dal magnetismo all’elettricità, secondo le forze dell’inorganico quanto quelle dell’organico, fino all’emergere, dal più inferiore ed inconscio dei gradi, dello spirito, in un progressivo svincolamento dalla materia. La natura è la «preistoria dello spirito» o, come voleva Ernst Bloch, la sua «odissea». Un’anima del mondo vive nella natura, ma un’anima ancora addormentata. Da qui un imperativo, che dovrebbe risuonare nella mente di tutti oggi: mortificare la natura è già mortificare lo spirito.