IL TEMA

È ciò che ci permette di dire “noi siamo”. È la fonte di elaborazione della realtà e della capacità di osservazione del rapporto con noi stessi e con gli altri. È la caratteristica che ci rende unici nell’universo. Nella sua terza edizione Sophia si interroga sulla natura di uno fenomeni più fondamentali della nostra esistenza: la coscienza.

La coscienza nell’immagine ufficiale di Sophia 2018

Quando un concetto filosofico è davvero di fondamentale rilievo e ricco di suggestione si prova quasi sempre la stessa sensazione, che esso sembri abbracciare l’intera storia del pensiero. Sembra che ricorra in tutti gli autori, in tutti i luoghi e che sia in qualche modo costitutivo del gesto filosofico. D’altra parte, se la coscienza è uno di questi grandi concetti, è inevitabile che il pensiero – senza ironia linguistica, il pensiero di una coscienza che riflette su se stessa e sul mondo – lo incontri nel suo procedere.
Che cos’è la coscienza? Se dovessimo rintracciare nel mondo greco un equivalente avremmo non poche difficoltà, non esenti però dall’essere cariche di un intenso fascino. Nei poemi omerici è presente il gesto della riflessione interiore, del ponderare, talvolta con acume e con difficoltà, nell’interpretare ad esempio i segni divini, la piega degli eventi, il proprio destino. Quando un uomo in Omero riflette, a riflettere non è la sua coscienza, ma il suo thumos, categoria complessa che non potremmo tradurre come semplice “mente”, ma appunto, banalizzando, con concetti simili a quello di una ‘coscienza vitale ed emozionale’. Alcuni etimologisti lo riferiscono ad altri termini, che ricordano il fumo, il respiro, e già si notano qui analogie su quelli che saranno, in Grecia e non solo, le caratteristiche di un’anima. Già in Odissea è presente il termine psyché, con cui la filosofia antica indica proprio quella che noi traduciamo con anima: l’ultimo respiro che lascia il corpo, contro il caldo thumos, è proprio la psyche. Ma se parliamo di anima, ecco Socrate, ecco la complessa psicologia platonica, dove il concetto di psyche è a dir poco fondamentale (si pensi solo al Fedone, dove Socrate discute dell’immortalità di quest’anima); ecco il celebre De Anima aristotelico, dove lo Stagirita indaga davvero “scientificamente” (psicologicamente, diremmo), per la prima volta, questo concetto.
Quando tuttavia si comincia a parlare in termini più vicini ai nostri, davvero, di coscienza? Con Plotino. Appare con il neoplatonismo l’idea di un pensiero che si ripiega su se stesso, che è in grado di riconoscersi come se si guardasse allo specchio, che è capace di auto-riflessione. Un’anima in grado di pensarsi. E cosa dire del racconto biblico e della filosofia cristiana? Non è forse nell’intimo della propria coscienza che l’uomo deve cercare Dio e la verità, seguendo i testi sacri e Agostino? Non c’è forse davvero una coscienza alla base del percorso che l’uomo intraprende in quanto creatura (si pensi solo alla coscienza etica, la capacità di discriminare il bene il male)?

René Magritte, “Decalcomania”, 1966 (fonte: web)

Poi, naturalmente, l’esplosione della riflessione moderna dopo il cogito di Cartesio. Non è forse vero che il cogito stesso, che è un’attività interiore, presuppone una certa ‘coscienza’ se siamo in grado, tramite il cogito stesso, di avvederci della presenza dei propri contenuti di pensiero? Persino l’empirismo, che arricchisce la riflessione sulla coscienza in termini di percezione (Locke, Berkeley, Hume…), non può risultare esente da questi ragionamenti. Infine il modernissimo Leibniz, che conia il concetto di appercezione (percezione di sé, proprio per distinguerla dalla semplice percezione) per indicare quella che da ora in avanti sempre chiameremo autocoscienza, e naturalmente la grande riflessione kantiana, che distingue tra una appercezione, per così dire, pura (trascendentale) – il celebre Io penso – e una appercezione empirica, la cosiddetta esperienza interna. Il contributo che la filosofia classica tedesca (Fichte, Schelling e soprattutto Hegel) danno al concetto di coscienza e autocoscienza è a dir poco immenso e da qui in poi, compreso il decisivo ‘giro di boa’ della psicanalisi freudiana – la scoperta dell’inconscio e la nascita della nostra psicologia –, quando ci si rapporterà con la coscienza molto probabilmente la intenderemo o nei termini di questa filosofia o nei termini di questa psicologia.
D’altra parte la discussione sulla coscienza, in tutte le sue varianti, è una discussione che aumenta vertiginosamente proprio nel Novecento, dove si arricchisce di contributi ormai definitivi e aperti quali quelli della medicina e delle neuroscienze, tanto che il dibattito filosofico si è talmente mescolato con quello scientifico da renderlo, talvolta, difficilmente scindibile da esso. È proprio sulla scia di questo momento storico e di questi dialoghi che ci proponiamo di riflettere su un tema tanto attuale e al contempo tanto fondamentale, tanto capace di rinnovarsi e di offrire continui spunti di argomentazione e tanto necessario per capire il mondo che abitiamo. Perché troppo spesso, seguendo almeno il celebre motto dell’oracolo di Delfi – conosci te stesso –, ignoriamo che un modo per comprenderlo davvero, il mondo, è innanzitutto quello di capire noi stessi.

Alessandro Montefameglio
Direttore di Sophia – la Filosofia in festa