IL TEMA

Sophia riparte dall’Immagine. È questo il tema scelto per la seconda edizione del festival di filosofia toscano diretto da Alessandro Montefameglio e realizzato dall’associazione culturale Rossocarminio presieduta da Franca Polizzano.

La storia della parola immagine e quella della filosofia occidentale per larga parte sono speculari: sono una l’immagine dell’altra. Oggetto di estremo interesse e fascino per filosofi, antropologi, artisti e scienziati, racchiude in sé il senso del convivere dell’uomo con se stesso e con l’altro (qualcun altro, qualcos’altro), sia come strumento di verità che di apparenza, intimo e collettivo, di timore e di seduzione, di vanità e di nascondimento. Già nella grecità, sia quella mitica che quella filosofica, l’immagine è un concetto fecondissimo: riproduzione, concreta o mentale, di ciò che i sensi hanno percepito in Aristotele, un fantasma, seguendo il calco greco; il mondo fenomenico stesso è immagine apparente di una realtà vera in Platone (come poi in Schopenhauer). Teologicamente, seguendo l’esempio biblico, lo stesso rapporto tra la creatura e il creatore si configura nei termini di una relazione di immagine, tanto che Paolo stesso afferma che ciò che l’uomo vede ora come immagine riflessa in uno specchio, superata la sua condizione creaturale lo vedrà chiaramente. Nella cultura medievale e rinascimentale l’immagine, come frutto dell’attività di un’immaginazione, è collegata all’atto creatore, dalla profezia, l’astrologia, la magia e quindi anche la poesia. La modernità conferisce alla parola immagine la dignità che oggi possiede, in Descartes, in Bacone, in Malebranche. Frequentissimo in Hobbes, il quale nel Leviatano ne dà una spiegazione terminologica dettagliata, nella grande filosofia classica tedesca l’immagine è spesso connessa ai gesti di una facoltà produttiva o riproduttiva, in Kant, nella Dottrina della scienza di Fichte e infine in Hegel. Solo con la contemporaneità, ad esempio con la psicoanalisi freudiano-jungiana, in Husserl e nella filosofia francese (Sartre, Bachelard, Deleuze…), si hanno gli esiti potenti di tutta questa tradizione. Ma non solo. La grande letteratura parla continuamente di (e in) immagini. Dante, nel XXXIII canto del Paradiso, nell’apice supremo della visione di Dio, vede, come fosse riflessa in uno specchio (come lume reflesso) l’immagine dell’uomo (la nostra effige). Il nesso immagine-sogno ricorre spesso nella contemporaneità, nel cinema di Bergman (Il posto delle fragole), in Lewis Carroll, nel ritratto rovesciato di Dorian Gray in Oscar Wilde… Le arti visive tutte declinano la loro storia e la loro evoluzione su quella dell’immagine, dalla preistoria a Paul Klee. L’immagine evoca concetti di identico, parallelismo, similitudine, verosimiglianza, ma anche i suoi opposti, la differenza, la contraddizione, il movimento dialettico, fino a che non si riconosca più nell’immagine il nostro riflesso, ma il riflesso dell’altro, espresso così splendidamente da Rimbaud con le parole Je est un autre (“Io è qualcun altro”). Interrogarsi sull’immagine è quindi interrogarsi sulla natura del pensiero umano e dei suoi gesti. È chiedere: «cosa guarda chi guarda?» e «chi è che guarda?».

Alessandro Montefameglio
Direttore di Sophia – la Filosofia in festa